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ANTIMAFIA, CELLULARI AL 41 BIS IN CARCERE A PARMA. M5S: “FATTO GRAVISSIMO, INTERROGAZIONI IN ARRIVO”

Sensori per rilevare onde elettromagnetiche e nuovi interventi per la sicurezza. Sono le richieste presentate da Stefania Ascari, deputata del MoVimento 5 Stelle. Componente della Commissione Antimafia, Ascari ha preso posizione dopo il ritrovamento di tre cellulari nella cella di un detenuto al 41 bis presso il carcere di Parma.

“È un fatto di una gravità inaudita – sottolinea Ascari – che s’inserisce in una cornice problematica. Come ricordato dai consiglieri M5S locali, il carcere era stato interessato da blackout tra il 2014 e il 2015. Il collega parlamentare M5S Davide Zanichelli ha domandato un intervento degli organici nel carcere. Un passo importante, ma non basta. Servono interventi strutturali per aumentare la sicurezza. Li ho domandati in un’interrogazione al Ministero della Giustizia, depositata in queste ore alla Camera”.

In arrivo un’analoga interrogazione in Senato, siglata dalla portavoce M5S Maria Laura Mantovani. “Il processo Aemilia ci ha insegnato che l’attenzione verso la mafia in Emilia Romagna deve restare alta – ribadisce Mantovani – perché ormai la criminalità organizzata è incuneata nel tessuto sociale ed economico della regione. Lo Stato deve fare di tutto per contrastare il fenomeno in nome della legalità. Servono i progetti nelle scuole e gli incontri informativi, ma sono allo stesso modo fondamentali gli interventi strutturali nelle carceri per evitare che la rete criminale possa continuare a estendersi anche da dietro le sbarre”.

 

Di seguito l’interrogazione al Senato a mia prima firma

Atto n. 3-01256

Pubblicato il 3 dicembre 2019, nella seduta n. 170

MANTOVANI, MORRA, LANNUTTI, CAMPAGNA, ENDRIZZI, LANZI, RICCARDI, CORRADO, CROATTI
ANGRISANI, GALLICCHIO, PAVANELLI, GIARRUSSO, GUIDOLIN, DONNO, DESSI’, LEONE, D’ANGELO, ROMANO, MONTEVECCHI – Al Ministro della giustizia. –

Premesso che:

da notizie a mezzo stampa, si apprende che un grave episodio è accaduto nel carcere di Parma (“L’Espresso” del 29 novembre 2019);

nella cella del detenuto Giuseppe Gallo, detto “Peppe o pazzo”, capo del clan Gallo-Limelli-Vangone di Boscotrecase, condannato in diversi processi, che ad oggi sta scontando 20 anni di carcere ed è sottoposto al regime detentivo previsto dall’art. 41-bis (cosiddetto “carcere duro”) della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Ordinamento penitenziario), sono stati trovati tre telefoni che il camorrista custodiva nascosti. Tutti i telefoni sarebbero perfettamente funzionanti e dotati di schede sim, sulle quali sono state avviati accertamenti. La scoperta è stata fatta dagli agenti del Gruppo operativo mobile (Gom) della Polizia penitenziaria e da quelli del Nucleo investigativo centrale (Nic), e di questo rinvenimento è stata informata la Procura nazionale antimafia;

secondo quanto riportato, il camorrista Gallo avrebbe utilizzato quasi quotidianamente il cellulare, che potrebbe essere stato messo a disposizione anche di altri detenuti;

considerato che:

il caso descritto sarebbe uno dei primi in cui un detenuto, sottoposto al regime speciale previsto dal citato art. 41-bis, viene scoperto in possesso di tali strumenti di comunicazione;

tale regime speciale si contraddistingue per l’applicazione di misure volte a ridurre drasticamente i contatti del detenuto con il mondo esterno e a limitare le occasioni di socialità all’interno del carcere (art. 41-bis, comma 2-quater della legge n. 354 del 1975);

la funzione primaria della suddetta è infatti quella di recidere qualsiasi forma di collegamento tra la persona detenuta e l’organizzazione criminale di riferimento, sul presupposto che gli affiliati a taluni gruppi criminali (specie se di stampo mafioso) siano in grado di mantenere intatto il proprio vincolo associativo anche durante il periodo di detenzione;

a parere degli interroganti, il fatto accaduto nel carcere di Parma viola fortemente la normativa vigente e rischia di svuotare di contenuto tale regime speciale, che costituisce una misura indispensabile nella lotta alle mafie, perché interrompe il flusso di comunicazione tra i boss mafiosi detenuti in carcere e l’esterno;

tale episodio rischia, inoltre, di avere pesanti conseguenze per la sicurezza dei cittadini del territorio dell’Emilia-Romagna, a forte rischio di infiltrazioni criminali, in particolare da parte della ‘ndrangheta, ma anche di altre organizzazioni quali la camorra e la mafia;

nel carcere di Parma si sono registrati nel corso del tempo altri disagi dovuti al sovraffollamento dei detenuti; il sottodimensionamento degli agenti di Polizia penitenziaria, adibiti alla sicurezza e alla vigilanza, e, infine, la difficoltà nel rendere esecutivi progetti di lavoro interni per la manutenzione e la ristrutturazione della struttura del penitenziario,

si chiede di sapere:

quali valutazioni il Ministro in indirizzo intenda esprimere con riferimento a quanto esposto, dato che tale accadimento rischia di vanificare la ratio del carcere duro, previsto dall’art. 41-bis dell’ordinamento penitenziario;

se, in considerazione del fatto descritto, non ritenga opportuno avviare un’indagine ministeriale volta a verificare: se le procedure detentive nel carcere di Parma siano state adottate in maniera corretta; se siano provate irregolarità e in tal caso accertate le responsabilità; se siano in corso controlli per accertare quali contatti abbia avuto il detenuto Gallo con l’esterno del carcere, attraverso i cellulari illegalmente posseduti, nonché se altri detenuti abbiano usufruito di tali mezzi di comunicazione;

quali iniziative intenda adottare per risolvere le criticità segnalate nel carcere di Parma, che rischiano di avere pesanti conseguenze sul piano della sicurezza dei cittadini del territorio dell’Emilia-Romagna.