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Open data e Stem: il mio intervento al convegno “Trasformazione digitale”

Ecco il mio intervento al convegno “Trasformazione digitale. Cosa abbiamo imparato durante la pandemia e quali saranno le sfide del futuro” organizzato su iniziativa della collega parlamentare pentastellata Mariolina Castellone e tenutosi a Palazzo Giustiniani a Roma (diretta streaming sulla webtv del Senato).
In particolare, ho posto l’attenzione sulla necessità di avere dati aperti e accessibili e di inserire miglioramenti e cambiamenti nell’insegnamento delle discipline Stem a scuola.

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Qui di seguito il testo integrale dell’intervento:

Molto interessante la proposta di discussione che dà il titolo a questo convegno ”Trasformazione digitale: che cosa abbiamo imparato durante la pandemia e quali saranno le sfide del futuro”.

Nel corso di questo mio intervento, mi vorrei incentrare su due principali temi: l’importanza degli opendata e l’insegnamento delle discipline Stem nelle scuole. Perché parlare di decision data driven ed evidence based e parlare di rinnovamento del sistema educativo significa parlare dei nostri diritti, che sono diritti democratici e delle nostre capacità di fare valere tali diritti. Cercherò di mostrare che parlare di dati oggi è un discorso politico, che impatta sulla vita delle persone.

All’inizio della pandemia nulla sapevamo dal punto di vista medico su questo virus. Senza sapere come il virus agiva sull’organismo umano, non sapevamo nemmeno con quali cure affrontarlo e questo l’abbiamo capito tutti.

Quello che invece forse è noto solo a pochi è che, non solo non avevamo le nozioni per affrontare il virus dal punto di vista terapeutico, ma non avevamo né la cultura sociale, né gli strumenti per affrontarlo dal punto di vista organizzativo. Eppure la teoria dei sistemi organizzativi non dipende da un virus sconosciuto o meno. Le teorie dei sistemi organizzativi si basano su raccolta dei dati e cooperazione tra i membri dell’organizzazione. Ma noi non eravamo pronti né a raccogliere dati di misura, né a collaborare per uno scopo comune a livello nazionale.

Il tema dei dati è strettamente connesso alla situazione di crisi epidemiologica che stiamo vivendo che ci pone un problema sulla raccolta e l’utilizzo dei dati scientifici su cui stiamo basando le nostre decisioni politiche in materia sanitaria. Per prendere decisioni politiche occorre fare una analisi, la cosiddetta Decision Data Driven, Decisioni basate sui dati, evidence based, Decisioni basate sulle evidenze. Ma non si può fare alcuna analisi se non si dispone dei dati.

In questa pandemia sono stati usati 3 principali contenitori di dati: il contenitore dei casi COVID-19, che vengono pubblicati dal bollettino Ministero della Salute, ex bollettino Protezione Civile, che è open data ma poco ricco di informazioni. Poi abbiamo il contenitore dei dati di Sorveglianza Sanitaria Nazionale, cui fa riferimento il DPCM 27 febbraio 2020, gestito dall’Istituto Superiore di Sanità, che contiene dati clinici. Di questo viene divulgato pubblicamento solo un report settimanale con dati aggregati, non open data, non storicizzati. Il terzo contenitore è il sistema di monitoraggio della Fase 2, che gestisce la cabina di regia del Ministero della Salute, dell’Istituto Superiore di Sanità e delle Regioni ai sensi del decreto del ministero della Salute 30 aprile 2020, che è quello su cui si basa tutta la gestione dei colori delle Regioni, come anche il sistema delle restrizioni delle libertà individuali. Anche questo non è disponibile come open data, ma ci sono solo dei report settimanali. Mancano ancora dei dati, nel primo dataset i casi per comune e non solo per provincia. Mancano anche i dati di evoluzione dei flussi relativi all’evoluzione clinica, ossia ad esempio quanti che sono in isolamento domiciliare vanno in ospedale, quanti dall’area medica vanno in terapia intensiva, quanti dalla terapia intensiva decedono oppure si riprendono. Per quanto riguarda i decessi in Italia non conosciamo il luogo del decesso, ossia se avvenuto presso il proprio domicilio, la terapia intensiva, la degenza ordinaria, o l’RSA.

Tutti questi contenitori dovrebbero essere accessibili in formato open data. Opendata significa una raccolta di dati completi, puntuali, disaggregati, storicizzati, memorizzati in un formato facilmente leggibile da sistemi computerizzati, accessibili a tutti liberamente. Per quanto riguarda il terzo contenitore, quello della fase 2, i dati aggregati sono disponibili solo dal 25 ottobre e non per il periodo precedente.

Sul tema opendata quindi è sorto un grave problema in quanto nel corso dei mesi scanditi da questa pandemia i dati non sono stati raccolti con un metodo standardizzato, uguale per tutti. Forse inizialmente i dati non venivano nemmeno raccolti, non c’era la cultura, non ci sono stati metodi e procedure univoche, ma soprattutto non sono stati liberamente accessibili e consultabili dai cittadini. Il 72% dei paesi democratici ha adottato delle restrizioni dei diritti delle persone e delle libertà personali. In Italia la decisione è stato affidata a dei saggi (il CTS) che è l’unico capace di prendere decisioni basate sui dati. Ma in un sistema democratico il cittadino è chiamato a partecipare al processo decisionale democratico. Invece è accaduto che la narrazione della pandemia ha invitato il cittadino a obbedire, con la richiesta di fidarsi ciecamente del CTS. Invece sarebbe proprio la presa di coscienza della realtà che porta ad accettare la regola con convinzione e fiducia, anche e soprattutto in caso di restrizioni.

Per questo con altri parlamentari, su impulso anche di una petizione di 50.000 cittadini pienamente consapevoli, abbiamo presentato sia qui in Senato che alla Camera, proposte emendative, ordini del giorno e atti di sindacato ispettivo per chiedere l’introduzione di un sistema di raccolta e pubblicazione dei dati standardizzato e in formato aperto e trasparente, liberamente accessibile da parte dei cittadini. Il processo di raccolta e diffusione dei dati deve rispettare alcuni criteri fondamentali: uno standard unico per la raccolta dei dati, valido su tutto il territorio nazionale; metodi e procedure univoche; un metodo unico di pubblicazione e divulgazione dei dati; un formato dati leggibile e liberamente consultabile online, con licenza aperta.

Conoscere i dati disaggregati a livello territoriale su tamponi, pazienti sintomatici, occupazione dei posti letto nelle terapie intensive, infezioni in ambiente scolastico e non solo, è indispensabile per avere piena contezza dei problemi causati dalla crisi sanitaria e per conoscere quali strategie stanno funzionando e quali no, soprattutto a livello locale. Ma è fondamentale anche per garantire la massima trasparenza informativa ai cittadini, a maggior ragione quando si tratta della loro salute.

In generale, quello che bisogna adottare a tutti i livelli della nostra società, è un metodo scientifico che preveda passaggi fondamentali come la misurazione del fenomeno, la registrazione di tale misurazione, l’analisi del dato raccolto e infine l’elaborazione di una regola comune, valida per tutti. Solo grazie al metodo scientifico è possibile spiegare i dati raccolti e giungere a conclusioni uguali anche se le analisi sono fatte da soggetti diversi perché il ragionamento è riproducibile. Questa riproducibilità rafforza il consenso perché la riproducibilità è basata sulla trasparenza ossia sul rendere i dati e i processi decisionali completamente aperti.

Purtroppo le nostre istanze sono state recepite solo in minima parte, solamente per quanto riguarda gli ordini del giorno, ossia le indicazioni di indirizzo al Governo di operare in un determinato modo. Invece la messa in pratica è più difficile. È ancora difficile, perché questo modo di operare è lontano dalla mentalità del nostro paese, più orientato alla dimensione umanistica, piuttosto che a quella scientifica che chiede di attivare un rigoroso monitoraggio che permetta di misurare scientificamente gli eventi. Ed è per questo che poi i dati che vengono raccolti risultano incompleti, a volte falsati dagli stessi enti preposti alla raccolta. Le inefficienze registrate dalle regioni nel rapportarsi agli enti centrali dello stato, hanno dimostrato ogni giorno, lungamente, sia durante la fase 1 che durante la fase 2 della pandemia, come non ci fosse un modello organizzativo dello stato, né delle regioni in rapporto con lo Stato, adeguato a monitorare i fatti e a registrare i dati in un modo efficace e utile affinché i dati potessero essere analizzati. La nostra stessa Costituzione, nell’attribuire competenze allo Stato e alle Regioni è inefficace sul tema dei dati e dei sistemi informatici. Questo punto di inefficienza causato anche dai malaugurati errori introdotti in costituzione dalla suddivisione di competenze tra stato e regioni era noto fin dalla scorsa legislatura, era uno dei frutti della commissione di inchiesta sulla digitalizzazione della PA. Fin dal mio primo giorno in Senato mi sono fatta carico di proporre un DDL di modifica costituzionale in tal senso. Finora non è stato incardinato per la discussione, anche se continuiamo a registrare questi danni.

Siamo quindi fermi al problema della mentalità comune del nostro paese, dove il metodo scientifico, e le sue fondamenta matematiche non sono parte di una educazione scolastica di base completamente inclusiva. È necessario insegnare alle nostre ragazze e ragazzi nelle scuole la matematica e il metodo scientifico, in modo che essi si appassionino, si leghino affettivamente a queste discipline, alla bellezza delle regole della fisica, della natura, del cosmo. Le ragazze e i ragazzi devono scoprire nella matematica la chiave delle loro libertà, perché la comprensione dei fenomeni scientifici (ad esempio la pandemia) può portare a prendere le giuste decisioni (applicare o meno restrizioni della libertà).

Il tema del rinnovamento dell’insegnamento della matematica è stato oggetto di una mozione a mia prima firma che è stata recentemente approvata dal Senato con il parere favorevole del Governo.

Tale mozione ha lo scopo di innovare la didattica della matematica e di introdurre il pensiero computazionale e algoritmico nelle scuole, per garantire un prospero futuro alle prossime generazioni.

In Italia infatti attualmente è attestato un grave ritardo nel campo della formazione matematica, tecnico-scientifica e informatica, che ostacola il pieno sviluppo delle potenzialità delle persone e la crescita economica e sociale del Paese.

La mancanza conclamata di conoscenze digitali riguarda tanto gli adulti quanto i giovani, Tali lacune colpiscono tanto le imprese, che rischiano di non poter cogliere le opportunità offerte dal digitale, quanto la Pubblica amministrazione, che rischia di vedere vanificato ogni tentativo di transizione digitale per mancanza di professionisti con comprovate conoscenze scientifiche, matematiche, computazionali, informatiche.

Anche a livello di esercizio della cittadinanza queste carenze mettono le persone a rischio di non poter far valere pienamente e consapevolmente i propri diritti in quanto impossibilitati a comprendere il funzionamento delle nuove tecnologie in cui quotidianamente siamo immersi quali, ad esempio quelle che hanno a che fare con la protezione dei propri dati personali, la videosorveglianza di massa, il riconoscimento delle fake news, e altre. Una fetta di cittadini non è più in grado di interagire con la pubblica amministrazione digitale.

La consapevolezza dell’importanza di acquisire una formazione tecnico-scientifica specifica è cresciuta nel corso di quest’anno di pandemia, ma questo non basta sicuramente per misurare risultati che ci consentano di risalire la china.

Troppi bambini e soprattutto bambine vengono condizionati da un pregiudizio: non essere portati per la matematica. Una disabilità irrimediabile che li rende inabili alla comprensione della matematica per tutta la vita. Invece la matematica deve essere per tutte e tutti.

Con l’approvazione di tale mozione, il Governo ha preso vari impegni su questo tema che mi auguro che possano presto essere attuati. In primo luogo, di continuare a investire nel Piano nazionale per la scuola digitale attraverso lo stanziamento di adeguate risorse e con l’introduzione di metodologie innovative più efficaci di apprendimento della matematica e del pensiero computazionale e algoritmico specialmente nella scuola primaria, ossia l’età in cui si insidia nelle bambine e nei bambini il pregiudizio di non essere nati per la matematica.

Inoltre, è necessario potenziare, nei gradi successivi dell’istruzione, percorsi di formazione innovativi e multidisciplinari, in cui il pensiero umanistico e quello scientifico si compenetrano e si rafforzano a vicenda. Un maggiore raccordo con la realtà e la necessità di misurarla consentirà agli studenti di orientarsi verso le discipline scientifiche e la matematica, intesa come disciplina che aiuta a comprendere molti aspetti della quotidianità, e con un approccio multidisciplinare, affina e sensibilizza alla percezione estetica e incoraggia i giovani ad affrontare la complessità e le sfide presenti e future del mercato del lavoro in continua evoluzione.

In conclusione, si tratta di un problema importante per la nostra democrazia l’avere dei cittadini che comprendano pienamente la trasformazione digitale che stiamo vivendo. Una parte dei cittadini è già consapevole, lo dimostrano ad esempio quei cittadini e quelle associazioni che giustamente reclamano gli open data. Ma una parte dei cittadini ancora non ha questa piena consapevolezza, e lo Stato ha il dovere di fornire, tramite il sistema educativo, gli strumenti per arrivare alla piena consapevolezza, adeguando opportunamente il sistema scolastico. È necessario, la scuola non può più rimanere indietro. Questo è un progetto politico di uguaglianza per tutta la cittadinanza, perché tutti i cittadini siano dotati degli strumenti per conoscere e far valere i propri diritti. Per abbattere il distanziamento sociale tra governanti e governati. Perché i cittadini possano tornare a percepire che le istituzioni stanno dalla loro parte.